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Cap. 1 Nascita della tragedia greca

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Messaggio  Desdemona Gio Lug 12, 2007 1:50 pm

La tragedia greca è un genere teatrale nato nell'antica Grecia.
Sorta dai riti e dalle rappresentazioni sacre della Grecia e dell'Asia minore, raggiunse la sua forma più significativa nell'Atene del V secolo a.C..
Come tale fu tramandata fino al romanticismo, che apre, molto di più di quanto non avesse fatto il Rinascimento, la discussione sui generi letterari.

In seguito a questa lunga evoluzione nel corso di oltre duemila anni, riesce arduo dare una definizione univoca al termine più generale di tragedia, a seconda dell'epoca storica o dell'autore.
Nel medioevo, quando poco o nulla si sapeva del genere, il termine assunse il significato di opera a stile tragico, e stile tragico divenne sinonimo abbastanza generico di poesia o stile alto, illustre, come traspare nel De Vulgari Eloquentia di Dante Alighieri.

Soggetto della tragedia è la caduta di un grande personaggio. Il motivo della tragedia greca è lo stesso dell'epica, cioè il mito, ma dal punto di vista della comunicazione essa sviluppa mezzi del tutto nuovi: il mythos (μύθος, parola, racconto) si fonde con l'azione, cioè con la rappresentazione diretta (δρᾶμα, dramma, deriva da δρὰω, agire), in cui il pubblico vede con i propri occhi i personaggi che compaiono come entità distinte che agiscono autonomamente sulla scena (σκηνή, in origine il tendone dei banchetti), provvisti ciascuno di una propria dimensione psicologica.

I più importanti e riconosciuti autori di tragedie furono Eschilo, Sofocle ed Euripide, che in diversi momenti storici, affrontarono i temi più sentiti della loro epoca.

Origine ed evoluzione della tragedia
Il «canto caprino»

L'origine della tragedia greca è uno dei tradizionali problemi irrisolti della filologia classica. La fonte primaria di questo dibattito è la Poetica di Aristotele. L'autore poté raccogliere una documentazione di prima mano, a noi oggi inaccessibile, sulle fasi più antiche del teatro in Attica, la sua opera è dunque contributo inestimabile per lo studio della tragedia antica.

All'origine della tragedia gli antropologi avrebbero individuato, come appunto sembrerebbe confermare l'etimologia stessa della parola, un rito sacrificale propiziatorio in cui molte popolazioni tribali offrono ancora oggi animali agli déi, soprattutto in attesa della messe o di una partita di caccia. Momenti cruciali che scandivano la vita degli antichi erano infatti i mutamenti astrali (equinozi e solstizi che segnavano il passaggio da una stagione all'altra). I sacrifici avvenivano dunque in questi momenti, ad esempio poco prima dell'equinozio primaverile, per assicurarsi l'avvento della buona stagione. Come in altre religioni, anche in quella cristiana il momento sacrificale coincide con la primavera, probabilmente perché la sua diffusione dovette adattarsi alle feste pagane preesistenti, come il 25 dicembre, che cade molto vicino al solstizio di inverno. In epoca preistorica recente, tali sacrifici dovettero trasformarsi in danze rituali in cui era raffigurata la lotta primordiale del bene il giorno, la luce, quindi la bella stagione contro il male (la notte e l'inverno), e il trionfo finale del bene sul male.
Rimangono però molti punti oscuri sull'origine della tragedia, a partire dall'etimologia stessa della parola trago(i)día (τραγῳδία): si distinguono in essa le radici di "capro" (τράγος / trágos) e "cantare" (ᾄδω / á(i)dô), sarebbe quindi il "canto del capro", forse in riferimento al premio che in origine era consegnato al vincitore dell'agone tragico (per l'appunto, un capretto), o al sacrificio di questo animale, sacro a Dioniso, che spesso accompagnava le feste in onore del dio; una teoria più recente (J. Winkler) fa derivare "tragedia" dal vocabolo raro traghìzein (τραγὶζειν), che significa "cambiare voce, assumere una voce belante come i capretti", in riferimento agli attori. A meno che, suggerisce D'Amico, tragoidía non significhi più semplicemente «canto dei capri», dai personaggi satireschi che componevano il coro delle prime azioni sacre dionisiache. Altre ipotesi sono state tentate, in passato, tra cui una etimologia che definirebbe la tragedia come un'ode alla birra. [1]

Quello che è possibile affermare con certezza è che la radice trag- (τραγ-), anche prima di riferirsi al dramma tragico, fu utilizzata per significare l'essere "simile ad un capro", ma anche la selvatichezza, la libidine, il piacere del cibo, in una serie di parole derivate che gravitano intorno alla «zona» linguistica del rito dionisiaco.

Dal ditirambo al dramma

Scrive Aristotele che la tragedia nasce all'inizio dall'improvvisazione, precisamente "da coloro che intonano il ditirambo" (ἀπὸ τῶν ἐξαρχόντων τὸν διθύραμβον, apò tōn exarchòntōn tòn ditýrambon), un canto corale in onore di Dioniso. All'inizio queste manifestazioni erano brevi e di tono burlesco perché contenevano degli elementi satireschi; poi il linguaggio si fece man mano più grave e cambiò anche il metro, che da tetrametro trocaico divenne trimetro giambico.
Il Ditirambo, in origine improvvisato, assume poi una forma scritta e prestabilita. Il primo ditirambo scritto sarebbe opera di Arione. Il coro s'indirizzava a thymele (θυμέλη), l'ara sacrificale, e cantava in cerchio, disponendosi intorno ad essa.

Ad un certo momento dal coro che intonava questo canto in onore di Dioniso il corifeo, cioè il capocoro, si sarebbe staccato e avrebbe cominciato a dialogare con questo, diventando così un vero e proprio personaggio; in seguito il coro stesso, sdoppiandosi in due semicori, diede vita a un dialogo tra i due corifei, e venne introdotto un hypocritès (ὑποκριτής, risponditore, in seguito significherà attore), che pronunciava le parole di Dioniso, rivolte al coro: è la nascita del dramma. Da canto epico-lirico, il ditirambo diventa teatro.

Mentre nasceva e si strutturava la tragedia vera e propria, lo spirito più popolare dei riti e delle danza dionisiache sopravvissero nel dramma satiresco.

Tratto dal sito www.wikipedia.org


Ultima modifica di il Gio Ott 04, 2007 8:05 pm - modificato 1 volta.
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Messaggio  Desdemona Sab Lug 14, 2007 11:08 am

I primi tragediografi

La tradizione attribuisce l'invenzione della tragedia, come abbiamo visto, a Tespi. Di colui a cui toccò la palma della vittoria nel primo concorso tragico, tuttavia, non abbiamo che qualche titolo e pochissimi frammenti non autentici. Sappiamo che era nativo del demo d'Icaria e supponiamo solamente, quindi, che l'introduzione del primo attore, di cui lo si fa promotore, consistesse semplicemente in un dialogo tra il korufaioV, ed i componenti il coro, ancora con sembianze di satiri.
Di Cherilo, il secondo autore tragico conosciuto, sappiamo ancor meno, e certo sono in attesa di conferma le notizie che lo vogliono autore di ben centosessanta tragedie (con tredici vittorie), inventore del ruolo femminile ed innovatore di maschere e costumi.
Si deve, invece, a Fratina di Fliunte il "ripescaggio" dell'elemento dionisiaco destinato, si è visto, ad essere soppiantato dai miti eroici. Autore di trentadue drammi satireschi, per merito di quest'uomo del Peloponneso, forse, lo spettacolo dei satiri fu usualmente rappresentato dopo la trilogia tr
Di Frinico, poco più anziano di Eschilo (ottenne la prima vittoria nel 510), ci sono note le lodi da parte di Aristofane (Rane, 910 e 1299; Tesmoforiazuse, 159; Uccelli, 749) che lo paragona a poeti come Anacreonte ed Alceo o all'ape la quale "si nutre del frutto di melodie divine sempre creando dolce canto". Il Lessico Suda lo fa inventore della maschera femminile e del tetrametro, e, meglio, secondo il Cantarella, del trimetro giambico nelle parti dialogate. Di lui ci restano pochi titoli ed una ventina di frammenti, ma, pure da quel poco a noi pervenuto, si comprende la portata della sua innovazione principale, in un mondo che considera "storici" i personaggi omerici, destinata a trovare seguaci solo in Eschilo (Persiani) ed in qualche scrittore d'età alessandrina: la tragedia storica contemporanea. Di lui, infatti, si ricorda una Miletou alosiV; (sulla città ionica di Mileto ribellatasi ai Persiani e da questi espugnata) messa in scena nel 493: tragedia sfortunata, se Erodoto (VI, 21) ci riferisce della multa comminata all'autore e del divieto di rappresentare ancora sulla scena un avvenimento che, a distanza di solo un anno, era ancora considerato una sventura nazionale (né si dimentichi lo scarso aiuto offerto in quella occasione da Atene, e non solo, alle città della Ionia). Ben altro successo doveva ottenere, comunque, Frinico se, come sembra, dopo pochi anni, nel 476, sotto Temistocle, mise felicemente in scena un dramma storico sulla vittoria ateniese a Salamina: le Fenicie.

La tragedia greca, comunque, sarà destinata ad assurgere alle alte vette della poesia con la triade costituita da Eschilo, Sofocle, Euripide.

Tratto dal sito www.andriaroberto.com
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Messaggio  Desdemona Sab Lug 14, 2007 11:17 am

Struttura della tragedia

Inizialmente l’attore ha un ruolo subordinato al Coro e interloquisce con esso, anziché con un altro attore. In questo si vede riflessa la tipologia socio-psicologica della struttura connettiva della Comunità. Nella quale il singolo non ha importanza, se non come parte di un mosaico che crea l’ ‘intelaiatura’costitutiva della Comunità-gruppo. È infatti il gruppo che ha maggiore rilievo, mentre l’individuo si caratterizza solo ed esclusivamente al suo interno. Ciò si può vedere molto chiaramente nell’Iliade, dove ogni singolo personaggio si preoccupa, non già di se stesso, ma di come può essere giudicato dalla Comunità riguardo al proprio operato. Si pensi a tale proposito a ‘Iliade, libro VI’, dove assistiamo al saluto fra Ettore e la moglie di lui, Andromaca. Mentre la donna, con il figlioletto in braccio, prega il marito di non andare contro Achille, perché teme per la sua vita, e rammenta all’uomo i suoi doveri di marito, di padre e di figlio, facendogli presente che lui verrà ucciso dai Greci e lei, rimasta vedova, sarà venduta come schiava; il figlio loro, Astianatte, forse verrà ucciso; i genitori di lui, Priamo ed Ecuba, non avranno più chi li difenderà. A tutto questo Ettore risponde:

Il, VI – 430,3." E allora Ettore, elmo abbagliante rispose: ‘Anche io penso a tutto questo, donna. Ma ho troppa vergogna dei Troiani e delle Troiane trascinatrici di peplo, se resto come un vile lontano dalla guerra."

Ecco un caso eclatante e tipico di come l’individuo non conti niente, nella sua singolarità, ma possa trovare la propria identità solo nell’ambito del gruppo.

In seguito, con il passare del tempo e mutando la realtà socio-culturale del "gruppo-struttura", venendo cioè a disgregarsi sempre di più quest’ultimo, perchè, per motivi vari, l’uomo si stacca come cellula singola da esso, e all’improvviso si trova a fare ‘cose’ da sé e per sé (si pensi al fiorire dei commerci; delle arti; del libero scambio), così che viene a nascere in lui un senso completamente nuovo, quale l’appartenenza al sé, rispetto al clan, e ciò gli fa percepire fortemente la sua peculiare individualità; ecco che a questo punto muta anche il rapporto tra attore e Coro.

Adesso prende molta più importanza l’attore (e ce ne sono 3, non più 1 solo), mentre il Coro tende a diventare quasi uno sfondo scenico.

Gli attori interloquiscono fra loro ed il Coro fa da struttura coreografica (di qui anche l’etimologia della parola ‘coreografìa’). La differenza fra Coro e attori viene accentuata anche dall’uso della metrica che è diversa per l’uno, e per gli altri.

Gli attori parlano in trimetri giambici ( _ _/ X U ), metro che produce una cadenza molto vicina al parlato: come se fosse una filastrocca ( si confronti l’uso del trimetro giambico nella filastrocca in lingua italiana: "qui – cò min – cia / l’av – vèn – tu – ra / del – Sì – gnor – Bo / na – vèn – tu – ra") e non sono accompagnati dalla musica, mentre il Coro è sempre accompagnato dal suono del flauto.

La funzione del Coro è anche quella di spiegare al pubblico azioni e reazioni che avvengono sulla scena, le quali, per motivi vari, non sono di facile e immediata comprensione.

Il Coro è neutrale rispetto agli attori e alle loro azioni.

Tratto dal sito www.andriaroberto.com
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Messaggio  Desdemona Sab Lug 14, 2007 11:30 am

Cap. 1 Nascita della tragedia greca 600pxmeridaromantheatremz4

La tragedia consta di piu parti:

- Prologo. E’ la parte che precede l’entrata del coro. Informa gli spettatori di cio che e avvenuto in precedenza o del punto in cui e giunto lo svolgimento dell’azione. In Eschilo e in Sofocle il prologo ha carattere drammatico, descrive la scena; in Euripide e narrativo, espone spesso gli antefatti del dramma.

- Parodo. E’ l’ingresso del coro nell’orchestra. Da destra, rispetto allo spettatore, il coro entra ordinato in file o per i singoli coreuti. Declama il canto d’ingresso, a ritmo di anapesti. Dispostosi nell’orchestra, il coro non la lascia piu.

- Episodi. Generalmente sono tre, sono scene di diversa grandezza, e corrEpisodi. ispondono in un certo qual modo ai nostri atti.

- Stasimi. Canti del coro “a pie fermo”, che chiudono l’episodio o lo commentano; in seguito sono espressione solo lirica, che prende appena spunto dall’episodio.

- Esodo. Canto di uscita del coro, o anche l’ultimo canto finale non seguito dal canto corale.

Tratto dal sito www.mondogreco.net
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